Questo lavoro presenta una riflessione sul metodo e gli standard di valutazione in economia tenendo conto delle immagini che (storicamente) gli economisti hanno avuto della loro disciplina. Presso molti economisti è stata forte la tentazione di presentare la teoria economica nello spirito di quello che il filosofo della scienza e della matematica Imre Lakatos ha chiamato “euclideismo”, prescindendo cioè dal carattere più o meno realistico degli assunti di base, assumendoli come assiomi e sviluppandone le conseguenze come un puro sistema formale. Lakatos trovava questo tipo di procedura mistificante per la stessa matematica intesa come conoscenza viva, in crescita. A mio avviso, questo vale anche per le varianti “aprioristiche” dell’economia. A esse viene contrapposta l’interpretazione à la Friedman che insistendo sulla “trasmissione della falsità” dalle conseguenze alle premesse delle teorie economiche ne ripristina il loro carattere “quasi empirico” Da questa prospettiva saranno inoltre messi in luce i “punti di attrito” tra alcune teorie della razionalità scientifica proposte in via di tentativo e una pratica di ricerca (l’economia) che secondo alcuni critici presenta non poche carenze. Il lettore ritroverà qui un esempio concreto del più generale problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza e potrà apprezzare quali vantaggi comporti un approccio dinamico rispetto a concezioni più statiche come quelle neopositivistiche e popperiane. È mia convinzione che questo confronto giovi sia ai ricercatori sul campo sia ai filosofi della scienza, qualora la “logica della scoperta” proposta non venga presentata in modo volutamente astorico, ma sappia essa stessa rivedersi e riqualificarsi.
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